Come comunicano gli archeologi di Padova?
Ne abbiamo parlato questa mattina al Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte dell’Università di Padova durante una tavola rotonda flash (organizzata in un battibaleno e durata un’ora per non annoiare) con alcuni docenti del Dipartimento di Beni Culturali (dBC) che ci hanno presentato le loro app in Realtà Virtuale.
Vedere l’invisibile: la scommessa
Far “vedere l’invisibile” è la scommessa di Comunicazione Pubblica delle Scienze che hanno fatto gli studiosi del Dipartimento di Beni Culturali (dBC) dell’Università di Padova.
“Evolverci, aprirci. Dal 2012 abbiamo cambiato passo. In accordo con le scelte dell’Università, abbiamo voluto cambiare per diventare qualcosa di pervasivo nella società. Per avere impatto e trasferire le conoscenze che si producono qui all’Università, verso le persone.”
Ad aprire il dibattito è il professor Jacopo Bonetto, che dirige il dBC, e che ci spiega come il dipartimento e tutti i suoi ricercatori, anche provenienti da rami delle scienze dure, interpretano il concetto di terza missione dell’università.
“Restituire alla popolazione il proprio passato, avere impatto sulle persone per far capire cosa si sta facendo: questaa la nostra terza missione.”
E per valorizzare la loro “mission” e il loro lavoro, restituirlo al mondo e farlo conoscere, gli archeologi padovani hanno realizzato alcuni percorsi virtuali nell’area archeologica di Nora in Sardegna e di Padova, mettendo a frutto le loro conoscenze storiche, scientifiche, tecniche e la loro naturale vocazione alla multidisciplinarietà.
“Ci siamo resi conto di non usare il linguaggio giusto con il pubblico di utenti e visitatori e così siamo arrivati alla Realtà Virtuale”.
A dirlo è il dott. Arturo Zara che al dBC segue il progetto sulla Realtà Virtuale per la ricostruzione dei siti archeologici oggetto dei loro studi.

Archeologia e Realtà Virtuale al Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte di Padova. Da sinistra: Jacopo Bonetto, Arturo Zara, Paola Zanovello, Giuseppe Salemi
È proprio entrando subito nel vivo della questione, che è iniziata la tavola rotonda in programma per questa seconda giornata della Settimana dell’Amministrazione Aperta promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica e dedicata ai Modi di Comunicare le Scienze in un PA.
Realtà Virtuale e Archeologia. Nuova vita a Nora e alla Padova di Tito Livio grazie al 3D
Il dibattito su Realtà Virtuale e Archeologia è iniziato quasi puntale (10.10!) in un contesto in cui qualsiasi cosa accada sarà un successo: il Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte dell’Università di Padova. Sì perché solo il luogo basta a farti vivere un’emozione.
Al terzo piano del Liviano, nel cuore di Padova, l’ambiente progettato da Gio Ponti negli anni ’30 è semplicemente straordinario. Anche vuoto sarebbe degno di una visita.
Immersi in tanta bellezza, abbiamo ripreso il filo di pensieri iniziato ieri al Museo di Storia della Fisica su trasferimento tecnologico tra Sette e Ottocento, riportandolo però all’attualità della ricerca archeologica e ai modi in cui gli archeologi “comunicano” e cioè presentano e condividono con il pubblico i risultati delle loro ricerche.
Star indiscussa dei progetti di Realtà Virtuale per i siti archeologici di Nora e la Padova di Tito Livio, il Patavium Virtual Tour presentato l’anno scorso, è la ricostruzione di questi luoghi in 3D e cioè in visualizzazione tridimensionale “immersa”.
Grazie al 3D il visitatore di questi siti può entrare in un palazzo o vedere la piazza di un abitato di oltre 2000 anni fa e del quale ormai esiste solo qualche rovina.
“Il 3D non è una tecnica nuova e col tempo ha perso il suo effetto “wow”.
dice Giuseppe Salemi, che insegna Image processing e rilievi 3D per l’archeologia al dBC.
Tuttavia negli ultimi tempi ha ritrovato il suo perduto appeal grazie al reimpiego in progetti come la Realtà Virtuale e le stampe tridimensionali.
“Le ricostruzioni 3D le usiamo anche per conquistare utenti portatori di handicap, ad esempio persone non vedenti che almeno possono toccare l’immagine, il reperto”
E di stampe 3D, accurate e fedelissime, al Museo di Scienze Archeologiche ed Arte ce ne sono e sono splendide. Vi sfido a riconoscerle accanto a originali.
Son servite per ricostruire reperti e frammenti di oggetti d’arte compromessi, mostrare al pubblico copie di oggetti altrimenti troppo delicati e permettere alle persone di vederle e a chi purtroppo non ci vede, di toccarle per vederle.
E se volessi suonare un flauto antichissimo?
Una copia in 3D molto fedele è stata fatta anche per il flauto di Pan, uno dei “pezzi da 90″ del Museo di Scienze Archeologiche.
Di questo magnifico strumento del VI secolo d.C. non soltanto è stata fatta una ricostruzione fedelissima in gesso dipinta poi a mano, ma addirittura è stata realizzata un’installazione multimediale interattiva per ricostruirne la storia, mostrarne gli studi scientifici che sono serviti per capirne composizione e stato di conservazione e, sorpresa!, farne ascoltare il suono ricostruito grazie ad accurate analisi eseguite sulla struttura e sulla forma delle sue canne.
“Alle nenie di flauti di Pan di suonatori peruviani o dei “pastori natalizi” siamo abituati.”
dice la professoressa Paola Zanovello, capofila del progetto che ha permesso di restituire a nuova vita questo magnifico strumento.
“Sentivamo l’esigenza di rifarlo suonare per riscoprirne il suono.”
Anche questa, come altre operazioni di tutela e valorizzazione del reperto, è il risultato della virtuosa (e non virtuale!) collaborazione tra competenze e dipartimenti diversi dell’Ateneo patavin,o.
Come quella con lo Iov, Istituto di Oncologia, e con il Centro di Sonologia Computazionale del DEI, il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione di UniPD, che hanno realizzato rispettivamente le TAC (Tomografie Assiali Computerizzate) dello strumento e uno studio accurato sul suono del flauto, ora riproducibile proprio grazie all’installazione che si trova al Museo.
Dallo scavo al Museo: le nuove tecnologie in archeologia
La giornata si è conclusa nello stesso luogo in cui è iniziata: al Museo di Scienze Archeologiche. Ma questa volta per scoprirne le collezioni.
Ad accompagnarci una guida d’eccezione: la dottoressa Alessandra Menegazzi, conservatrice della struttura.
Fin da subito il suo contagioso entusiasmo conquista tutti che, come bimbi in preda allo stupore e alla gioia di una sorpresa inaspettata ma graditissima, hanno vissuto un’esperienza unica.
Con grande trasporto ci mostra, infatti, le realizzazioni 3D di alcuni pezzi del Museo, tutte (o quasi) da toccare, utili non solo per la loro ricostruzione fedele ma soprattutto per le persone con deficit visivi.
E il magnifico, e utilissimo per gli studiosi, archivio dei marmi.
Sorpresa finale… il flauto di Pan e la sua installazione, che alcuni ospiti hanno provato a suonare.