Me, il Buio e il Fagotto

Storie di Me

Mercede, che famiglia e amichetti chiamano Me, è una bimba dai capelli rossi, gli occhi azzurrognoli e le lentiggini.
È una tipa simpatica, Me, vivace, sveglia e curiosa.
Ama giocare all’aperto e scatenarsi.
Odia le bambole e le bambine, sempre piene di smancerie e sdolcinatezze, mentre adora tutti i giochi dei maschietti.

Una Bimba Coraggiosa

Me è molto coraggiosa: quando si fa male non piange, quando la mamma la sgrida o la picchia non piange, guando fa a botte con gli amici non piange.
E nonostante i suoi amici la prendano in giro per i suoi modi maschili, lei non si scoraggia e continua a fare ciò che le piace: giocare a calcio, correre in bicicletta, arrampicarsi sugli alberi, andare sullo skateboard.

Me ha paura del buio. Perché il buio è nero e le nasconde le cose e i suoi genitori.
Bagna il letto quasi ogni notte, perché quando le scappa non le riesce proprio di alzarsi e andare in bagno.

Me ogni notte fatica ad addormentarsi. Vuole la luce accesa. La conforta.
Vorrebbe che la sua mamma le stesse vicino. Ma la mamma le dice sempre: “ma insomma, Me, sei grandicella per volere la mamma vicina e la luce accesa, non ti pare?”

Così Me si fa coraggio e ogni sera cerca di vincere la sua paura.
Ma ogni sera c’è sempre qualche mostro che la spia e la tiene sveglia. E così ogni notte bagna il letto. E ogni notte, per disperazione, col cuore in gola e i lacrimoni agli occhi, mortificata e umidiccia, corre in camera dai suoi genitori, conquistandosi un posto nel lettone.

Ma alla mamma non piace mica che Me dorma nel lettone.

Me dorme con tutta la testa sotto il piumone. Ma non riesce a respirare bene. Le coperte sono troppo grosse e pesanti e l’aria, là sotto, è troppo poca per resistere a lungo.

Me ogni notte cerca di aprirsi un piccolo spiraglio per dare aria al nasino. Ma che fatica tenere tutta la testa sotto le coperte e contemporaneamente far respirare il naso. Povero naso! E se il mostro lo vede? Senz’altro lo afferra e glielo stacca.

Me vorrebbe lì con sé la sua mamma e il suo papà, ma loro son lontani. Dormono nell’altra stanza.

Ogni notte Me vive il suo piccolo dramma. Vorrebbe tanto essere grande e forte e non avere più paura del buio. Ma lei è ancora piccola e, per quanto coraggiosa, a volte di notte piange per la paura e per la vergogna di bagnare letto un’altra volta.
Qualche volta la sua mamma la sente e va a consolarla. Qualche volta la sgrida perché non riesce più “a sopportare una bambina così capricciosa”.

Una notte Me rompe il silenzio con un pianto straziante. La mamma si sveglia e corre a vedere cosa succede.

Me non riesce a smettere. Cerca di spiegare che sta male, che le fa tanto male la pancia, ma non ci riesce e la sua mamma non le crede.

La sua mamma le dice che è stanca ed è stanca anche di lei. Le chiede con impazienza e ripetutamente cosa avrà mai da piangere così tanto e, in modo brusco, la afferra, scuotendola.
Ma la piccola Me non riesce a spiegarsi.

Si alza anche il papà, svegliato dalla voce infastidita della mamma e dal pianto della piccola Me.
Me si stacca dalla mamma e corre dal papà, ma lui: “Cos’è tutto questo trambusto? Cos’hai Me? Perché piangi sempre? È tardi, devo dormire. Domani lavoro.”

Mentre la delusione scende nel cuore di Me, che sperava che almeno il papà la capisse, la mamma, al colmo della rabbia continua a dirle: “Me, non ne posso più di te. Piangi sempre. Ora ti preparo il fagottino e te ne vai da questa casa”.

Udendo quelle parole, il pianto di Me si trasforma in disperazione. Non riesce a credere che sua madre le stia preparando il fagottino per mandarla via di casa. Lei le corre incontro e la supplica. Ma la mamma è troppo arrabbiata e stanca per ascoltarla. Me, allora, corre disperata dal papà. Ma anche lui è stanco come la mamma e non ha voglia di capire cosa Me sta cercando di dirgli.

La piccola Me sta male. Ma la paura di ciò che le sta per accadere è molto più grande.
Ecco. La mamma ha finito di raccogliere le cose della piccola Me e torna con una sportina. Apre la porta di casa e caccia Me sulle scale insieme al suo piccolo pacchettino di cose.

Me non riesce a credere che la sua mamma l’abbia fatto davvero. Tante volte l’aveva minacciata di prepararle il fagottino se non avesse smesso di piangere e di fare i capricci. Ma Me non ci credeva: “la mamma mi vuole bene.” E mentre Me si consola con questo pensiero, la porta le si chiude dietro le sue piccole spalle.

Me è nel panico. Ora nelle scale c’è la luce accesa, ma fra poco sa che si spegnerà. La disperazione per la decisione dei suoi genitori di cacciarla di casa cede il passo al terrore di rimanere al buio, ora più forte che mai.

Me si sente sola e abbandonata. Si stringe nelle spalle, si rannicchia il più possibile in se stessa, si siede su un gradino e, senza perdere mai di vista il pulsantone grigiastro e quadrato della luce, si asciuga la lacrimuccia che le scende sul faccino.

Ma ecco, la luce scompare. Lei si alza, e con un brivido sulla schiena, corre verso quel pulsantone, ora illuminato, che la guida.

Il pulsantone è alto. Ma la piccola Me non si scoraggia: si alza sulle punte dei piedini, allunga per bene il braccino e con le ditine tese riesce a premere il pulsante. Evviva! Ecco di nuovo la luce.

La piccola Me riconquista il suo pezzo di gradino, bianco e freddo. Si accoccola accanto al suo fagotto, tira per bene su col naso che continua a gocciolare, ed esausta per il suo mal di pancia e la notte trambustata, si addormenta. E sogna. Sogna che domani sarà una bimba più grande e più forte.

Silvia Pittarello

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