Breve storia triste di figli più adulti dei genitori
Un bimbo di 3 anni, su una piccola bici con le rotelline, urla sotto casa mia.
Un urlo straziante.
Pensi: “lo stanno sbranando”.
No. Sembra voler qualcosa che la madre non gli dà. E lui strilla.
La madre tenta di calmarlo. Non ci riesce.
Cerca di avvicinarlo. Le risponde: “Mamma brutta!” e la scaccia con un gesto brusco.
Non ho figli, ma credo che una cosa del genere sia davvero un colpo al cuore per una madre.
Lei, disarmata, minaccia di andarsene.
Lui continua a strillare. Poi si ferma. Ci pensa. Riprende, più forte di prima.
Lei se ne va.
Il fratello, sui 5 anni, assiste alla scena.
Ogni tanto interviene a moderare l’alterco. Madre e bimbo lo ignorano. La madre intanto è lontana.
Ormai distante, lei continua a dirgli che se ne va, salutandolo.
Non ce la fa proprio a cedere, a correre dal suo bimbo e a quietarlo. Ma sa applicare alla perfezione il solito cliché del “me ne vado, ciao” di moltissimi genitori, iterando quella liturgia dell’abbandono che è l’orrore più grande per un bambino… e un adulto.
Il bimbo guarda la madre, brutta, andarsene. E strilla, ancor più disperato.
È il fratello, paterno e materno insieme, a decidere per tutti e a risolvere l’impasse.
Gli corre incontro, afferra il piccolino in un caldo e grande abbraccio e spinge lui e la sua piccola bici, gentilmente ma con decisione, verso la madre.
È bello aver dei fratelli.
Da figlia e sorella maggiore, uno spunto per le mamme e i papà: leggete Alice Miller, “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sé“.
Anche i bambini possono insegnare ai genitori.