Siamo sicuri che le persone a cui si rivolgono i nostri clienti vogliono le belle parole che solo noi copy sappiamo offrirgli?
Tra i miei “lost and found”, una breve riflessione di qualche tempo fa, proprio sul tema scrittura/comunicazione.
Se scrivere è una fatica nera, comunicare è una vera e propria impresa.
Deve tenere conto di tantissimi fattori e, a fronte di tanto sforzo, spesso giunge quasi incompresa al proprio destinatario.
E allora?
Parliamo come mangiamo, io, tu, i nostri cliente, i nostri “lettori”.
Quando scrivi pensa alle persone, non ai target
Quando scrivo un testo aziendale, la formazione vince e le parole vanno, seguendo la regola dei pubblicitari del “parla al target a cui ti rivolgi”.
Ma così il mio testo parla ad una specie di Leviatano di individui indistinti, bersaglio del mio messaggio, e dimentica le persone.
Per fortuna a volte me ne accorgo e allora mi fermo e penso che, invece, dovrei rappresentarmi la persona vera con cui voglio entrare in dialogo, piuttosto che giocare a freccette.
E da lì, per deformazione filosofica (!), inizio a farmi domande. Niente di disdicevole, per carità, se non fosse che mettono in discussione anche la mia identità lavorativa portandomi a dubitare di tutto, come facevano gli scettici.
Spesso mi capita di fare banchmarking per capire cosa fanno i miei colleghi copywriters. (È buona norma sapere cosa fa la concorrenza.)
Ebbene?
Copy e agenzie ripetono il solito mantra:
“Perché conviene affidare i testi del sito web ad una web agency?
Perché scrivere testi efficaci per il web implica competenze che non si possono improvvisare e produce vantaggi in termini di immagine.”
Non posso che esser d’accordo.
Ma… questo è il nostro punto di vista: quello di chi vende il servizio di copywriting.
Ehi, copy, concreti e coccolosi!
Il mondo anglosassone ci insegna che un sano sguardo alla concretezza non guasta e ci invita ad aver sempre cura del nostro pubblico e del pubblico dei nostri clienti.
Come direbbe Umberto Eco “i nostri lettori modello“. Insomma, le persone.
“Ecco ora si rompono gli indugi e questo lettore, sempre accanto, sempre addosso, sempre alle calcagna del testo, lo si colloca nel testo. Un modo di dargli credito ma, al tempo stesso, di limitarlo e di controllarlo. Ma si trattava di fare una scelta: o parlare del piacere che dà il testo o del perché il testo può dare piacere. E si è scelta la seconda strada.”
(Umberto Eco, Lector in Fabula, 1979)
E qui (quando lo scetticismo avanza!) la domanda sorge spontanea: davvero le persone a cui si rivolgono i nostri clienti vogliono le belle parole che solo noi copywriter sappiamo scrivere?
O non sarebbe forse più giusto parlare il loro linguaggio?
Naturalmente costruendolo secondo le regole che noi ben conosciamo.
Parlare veneto con un toscano o un siciliano è come parlare turco.
Inviterei a pensare a queste piccole manie da filosofi, perché lo scopo della comunicazione è quello di farsi capire dal destinatario della comunicazione.
Che sia, quindi, il caso di cominciare a parlare davvero il linguaggio dei nostri lettori?
Non certo quello grasso di alcune persone e di certi ambienti.
Credo che l’atto della scrittura risulterebbe anche meno noioso a noi copy.
E così verrebbero finalmente “bannati” incipit del tipo “Al via la mostra ‘Vattelapesca e il passatismo’. Previsti afflussi di 120mila visitatori al giorno”, body-copy che enunciano “il 23,5% di lucentezza in più” e payoff come “donne delle pulizie al tuo servizio” o “il miglior pannolino di sempre”.
Quando la logica incontra la filosofia… embè, parli come mangi
Prendiamo ad esempio mio marito.
Lui è un logico e, neanche farlo apposta, il suo è un linguaggio prossimo al linguaggio oggetto, molto lineare, piano, semplice, essenziale, senza troppi “non detti”. Insomma, parla come mangia.
Se gli parlo di filosofia in filosofese, quantunque egli scriva di filosofia, non mi capisce.
Per necessità di convivenza, ho optato per la strada più semplice per lui (un po’ meno per me…): quella degli esempi tratti dalla vita quotidiana.
Quanto a me, mi sono sforzata di imparare a capire il suo linguaggio: la logica.
Litighiamo di meno e ci capiamo di più.
Morale?
Non credo – e penso di non essere offensiva se lo dico – che il cliente di un elettrauto sia particolarmente interessato ai linguaggi forbiti anche se semplici di noi copy.
Credo piuttosto che si debbano intercettare gli argomenti che più lo interessano, compatibilmente con le esigenze di comunicazione del nostro cliente.
Cercare di coinvolgerli insieme e farli parlare, col loro linguaggio, con la ricchezza delle loro espressioni, magari anche in dialetto. Questo sì, credo sarebbe efficace.
Silvia, molto interessante ti seguirò più spesso . stimoli interessanti ciao un abbraccio (g.p)
Grazie Giovanni,
un abbraccio a te 🙂