Faccio storytelling scientifico multimediale, mestiere che va a braccetto con industria 4.0 e strizza l’occhio a society 5.0. In questa videointervista spiego come e perché.
Il “digital divide” è divario digitale ma può essere inteso anche come il “digitale che divide“, è la molla che ha fatto scattare l’idea a Stefano Marchi (jointhedots.it) per questa serie di videointerviste sul lavoro agile e i suoi attori.
Lo scopo è di far comprendere i benefici dei servizi di chi fa digital e di costruire qualcosa di facilmente comprensibile a un pubblico non abituato alle nuove tecnologie.
In queste videointerviste ci sono anch’io che racconto il mio lavoro di copywriter e storyteller col pallino per la scienza sexy.
Ci voleva un’epidemia per capire l’importanza dello smart working
Ci voleva un’epidemia per far comprendere l’importanza del digitale.
In Italia siamo ancora all’abc, e il digital divide lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle proprio in questi ultimi mesi.
Ma dopo il lockdown forse le cose si muoveranno più in fretta.
Il punto è – come dice Stefano Marchi fondatore di Join The Dots –
“digitalizzare ciò che è digitalizzabile, facendo adottare a tutti, e in particolare alle aziende, piccoli pezzetti di tecnologia”.
Detto in altri termini, dovremo sbrigarci a imparare ad usare il più possibile gli strumenti e le buone pratiche dello smart working.
Ma cosa si intende con “lavoro agile”?
Il lavoro agile secondo il ministero del Lavoro
Sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali leggiamo:
“Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
www.lavoro.gov.it
Questa la definizione di lavoro agile che si trova nella Legge n. 81/2017.
Ma chi è veramente lo smart worker?
Agile è chi agile fa. Gli smart workers per antonomasia
Il lavoro agile per antonomasia è quello svolto dalle figure che da sempre operano nel e con il “digital” e che hanno studiato e messo a punto strategie e strumenti utili ad aziende e a pubblici per farli muovere in modo agile (appunto!) con quel che le nuove tecnologie digitali ci mettono a disposizione.
Le loro competenze non sono proprio nuove.
Alcune esistono dall’alba del web (sistemista, web master, web content manager,…), altre son comparse negli ultimi dieci anni (si pensi agli sviluppatori di app o ai social media manager).
Non sono nuove per gli addetti ai lavori né per chi, tra imprenditori e non, rientra nel novero degli “early adopters“, come li definisce Seth Godin nel suo libro La Mucca Viola (Sperling & Kupfer, II edizione, 2015, e-book e audiolibro) e cioè gli innovatori.
Il tema è che figure, competenze e conoscenze come queste dovrebbero diventare patrimonio anche della cosiddetta “maggioranza tardiva” (continuando a citare Godin) e cioè di quegli imprenditori e consumatori che non hanno fretta di possedere prodotti o servizi nuovi o di usare nuove tecnologie, ma se ne interessano quando un numero importante di persone li adotta e cioè li compra, li utilizza, li promuove… o quando capita una pandemia :-O
Lavoro agile secondo i professionisti di Join The Dots

Il lavoro agile è tema caldissimo in questo momento e forse è proprio il momento giusto per rivolgersi a quella maggioranza tardiva di cui poco fa parlavo.
Join The Dots e la sua rete liquida di professionisti, di cui anch’io faccio parte, lo declina in termini di processi, strumenti e strategie capaci di trasformare un’azienda in un organismo efficiente, ovvero in tutto ciò che serve per andare sempre più verso la trasformazione digitale delle imprese, la tanto citata industria 4.0.
“Business, digital, people, come recita il payoff di Join The Dots, è – prosegue Marchi – la triade perfetta che rappresenta le tre verticalità più ignorate dalle PMI, ma strategicamente più potenti”.
“Se l’azienda non ha un atteggiamento orientato alle persone, ai modelli di business, al digitale non ha nemmeno senso di sopravvivere nel 2020”.

Ispirato da queste riflessioni vede, dunque, la luce il progetto Lavoro agile, in un certo senso dedicato a ciò che in fondo è stato il simbolo (spesso molto sofferto) di questi mesi di distanziamento sociale: lo smart working, appunto.
Tras-formarsi per essere preparati
Oggi più che mai, tutte le imprese e le figure professionali dovrebbero tras-formarsi da analogici a digitali, ammesso ma non concesso che questa differenza ancora esista.
Quantomeno dovrebbero dotarsi degli how to utili per essere pronti in caso di un nuovo lockdown o, in uno scenario più roseo, per esplorare nuovi orizzonti e aprirsi a nuovi mercati e nuovi business.
È importantissimo che tra queste figure ci siano le moltissime aziende che ancora tardano ad adottare a pieno ciò che il digitale può offrire a loro e ai loro clienti.
Le tecnologie digitali sono, per loro natura, uno straordinario strumento di innovazione, capace di innescare cambiamenti economici, con effetti che possono essere positivi anche su sostenibilità sociale e ambientale, temi oggi altrettanto cogenti.
Rendere smart l’onlife in cui già tutti siamo
Ci sono poi i docenti, gli studenti, le madri e i padri di famiglia che durante questo periodo di rintanamenti obbligati dall’emergenza covid-19, hanno dovuto forzatamente trasformarsi in utenti “digitali”, mentre senza coronavirus avrebbero continuato a restare nel loro confortevole “offline ibrido”.
Quel che abbiamo capito è, tuttavia, che imprese e scuola non possono rimanere al palo nell’era dell’onlife, perché tutti ormai, indistintamente e quotidianamente, entriamo e usciamo con disinvoltura dall’offline all’online (quel che già sopra ho definito “offline ibrido”): scegliamo online, proviamo offline, compriamo online, socializziamo online, facciamo l’amore online e offline, impariamo offline e online.
Online e offline sono ormai fusi insieme in quel che Luciano Floridi (professore di Filosofia e Etica dell’Informazione all’Oxford Internet Institute dell’Università di Oxford) ha chiamato proprio “onlife“.
Ma allora perché moltissimi tardano ancora ad adeguare le loro professioni e a trasformarle in qualcosa di più agile?
In queste videointerviste che tutti dovremmo vedere per fare il punto sulle attività che possono rendere il lavoro e la nostra vita più “agili”, si parla proprio di alcuni mestieri tipici dell’onlife e del perché sono strategici per le aziende. Il mio è tra questi.
Il mio lavoro agile
Si chiama storytelling scientifico multimediale ed è un mestiere che va a braccetto con industria 4.0 e strizza l’occhio a society 5.0, e cioè un concetto di società che va oltre la digitalizzazione dell’economia di industria 4.0, e punta a una nuova società intelligente.
Aiutare a risolvere i problemi delle persone, e non “semplicemente” migliorare la produzione, non è un’utopia.
Il Giappone ci è già arrivato.
In terra nipponica, infatti, la trasformazione digitale sta influenzando anche tutti gli aspetti della vita sociale.
Il mio lavoro agile è iniziato vent’anni fa come tutor online che svolgevo di notte per adeguarmi ai tempi degli allievi della SISS, la Scuola Interateneo di specializzazione per la formazione degli insegnanti dell’Università degli Studi di Venezia.
Nel tempo l’ho coniugato col mio lavoro di copywriter trasformandolo in “web content qualche cosa” (la definizione cambia spesso: web content manager, web content specialist, web content editor,…).
Il lavoro agile è entrato nella vita di moltissime persone in questo periodo, ma per me è stato sempre la normalità.
Anzi direi che è il mio lavoro ideale.
Mi permette di lavorare per obiettivi e mi dà il tempo di osservare, imparare, studiare, riflettere per poi agire con gli strumenti che provo e che trovo migliori per me e per i miei utenti, e con i tempi di cui ho bisogno perché per certe cose ahimè sono lenta.
Quel che ho capito lavorando smart
Lo smart working mi fa lavorare di più, ma imparo anche di più.
Ho, infatti, affinato la tecnica dello stare in ascolto che mi permette di continuare a formarmi e di capire come immedesimarmi nei bisogni dei destinatari dei miei progetti e mettere a punto ambienti e situazioni i più giusti e i più semplici per loro.
Soprattutto ho capito che per chi, come me, ha a che fare col “mestiere di scrivere” e lo scrivere di scienza, deve necessariamente avere conoscenza non solo di contenuti ma anche di contenitori e deve fare i conti con il burn-out da iper informazione e l’attenzione risicata di un pubblico sempre saltabeccante da un social all’altro o, daccapo, dall’offline all’online.
E dunque?
Deve usare strumenti che sappiano coniugare contenuti sexy e contenitori yeah!
Insieme a Stefano Marchi, artefice del progetto Lavoro Agile, parlo delle mie esperienze come storyteller multimediale e comunicatrice delle Scienze e di come coniugo le due cose nello storytelling scientifico.
Ringrazio Stefano, per avermi coinvolta in questo pregevole e utilissimo progetto.