Nel 2017 i Google Glass sono finiti al Museo dei Fallimenti, ma gli Smart Glass EyeSpeak della portoghese LusoVU sono degni di nota perché ridanno voce a persone colpite da traumi e malattie degenerative.
Scopri perché in questa bella storia d’amore e di trasferimento tecnologico.

EyeSpeak: una storia d’amore e di trasferimento tecnologico

Ok, lo so: parlare di Realtà Aumentata e occhiali Smart non è più molto trendy, soprattutto da quando, lo scorso anno (giugno 2017), i Google Glass sono finiti al Museo dei Fallimenti di Helsingborg in Svezia.
Tuttavia credo che la storia che sto per raccontare sugli occhiali EyeSpeak, anche se non nuovissima, sia degna di nota.
Parlarne il più possibile ritengo sia indispensabile per far sapere alle persone con gravi limitazioni nella comunicazione, che possono ritornare in contatto col mondo, facendo parlare i loro occhi.

Sommario

  1. Cos’è EyeSpeak?
  2. Come funziona EyeSpeak?
  3. Dalle tecnologie per lo spazio al benessere delle persone malate
  4. Spacewalkers e quaderni démodé
  5. Realtà Aumentata non solo per astronauti
  6. EyeSpeak e Kickstarter: un vero successo
  7. Pronti all’uso per ogni tipo di occhio
  8. E la Realtà Aumentata per gli astronauti?

Bello sarebbe poter parlare con gli occhi ed esprimersi senza muovere un muscolo, e così farsi capire, e restare in comunicazione, ovunque ci si trovi o qualunque cosa accada.

Straordinario soprattutto per molte persone che non possono più muoversi e parlare perché vittime di traumi cerebrali o lesioni del midollo spinale, o perché afflitte da malattie degenerative come la Distrofia Muscolare o la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), che in tal modo potrebbero, invece, conservare una certa autonomia grazie a un battito di ciglia, senza perdere il contatto con le persone care e continuando a strizzare l’occhio alla vita.

Utopia?
No, scienza e tecnologia, con un nome preciso: EyeSpeak.

Cos’è EyeSpeak?

EyeSpeak è un occhiale a Realtà Aumentata in grado di proiettare sulle lenti uno schermo e una tastiera virtuali, permettendo all’utilizzatore di accedere a informazioni sul web e di comunicare grazie a comandi eseguiti dalla pupilla

Come funziona EyeSpeak?

È la pupilla a comandare tutto. Perché la cosa incredibile delle malattie neuromuscolari è che risparmiano i muscoli degli occhi.

Le pupille continuano a muoversi e così possono funzionare come dei mouse e sostituire le dita per scrivere sulla tastiera virtuale, proiettata sulla parte interna delle lenti.

Affinché il sistema funzioni con precisione, la pupilla viene illuminata da una luce infrarossa che la rende più scura dell’iride, mentre una piccolissima videocamera dotata di sensore (eye tracker) ne registra i movimenti e ne estrae le posizioni.
Le frasi scritte con gli occhi vengono poi lette da un software di sintesi vocale, interno al sistema e personalizzabile, cui piccoli altoparlanti integrati danno voce.

Dalle tecnologie per lo spazio al benessere delle persone malate. Ciao ciao Google Glass

 

“It is our mission to give voice to those who can’t communicate. In this moment of our “history” we want to bring our knowledge from Space down to Earth, because we believe that we can make a difference!

Ivo Vieira, CEO di LusoVu, l’azienda portoghese che ha creato EyeSpeak, in occasione della campagna di crowdfunding su Kickstarter.

È il 2013 e il padre di Ivo Vieira si ammala di SLA.

“In 2012, my father began to lose mobility in one arm and in February 2013 was diagnosed with the disease. The suffering of my father and of the people who were around him was huge. What hurt me the most was when he stopped moving and talking and had to spell the letters.

Ivo Vieira, CEO of LusoVu

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia terribile, che colpisce i muscoli causandone la paralisi totale.
Responsabile della malattia è la degenerazione dei motoneuroni, le cellule nervose del midollo spinale che trasmettono gli impulsi motori alla periferia.

Gli unici muscoli che la SLA risparmia sembra siano quelli degli occhi, che continuano a conservare capacità di movimento.

Ad oggi non esiste cura e l’esito è la morte.
L’incidenza è di circa 1-3 casi all’anno ogni 100.000 abitanti.
In Italia si stimano circa 3.500 malati e 1.000 nuovi casi ogni anno.

Vieira è un figlio sensibile, intraprendete, geniale e con una marcia in più: è CEO di LusoSpace, un’azienda specializzata in tecnologie innovative per applicazioni aerospaziali, che tra i suoi clienti conta nomi importanti come quello di ESA, l’Agenzia Spaziale Europea.

Nel 2005 la sua azienda stava lavorando all’applicazione della Realtà Aumentata a dispositivi di visualizzazione diretta (Direct Visualization Display Tools, DVDT), ovvero micro monitor da far indossare agli astronauti durante le loro missioni nello spazio.

Spacewalkers e quaderni démodé

Un problema non banale durante le passeggiate spaziali (note anche con l’acronimo EVA, Extra  Vehicular Activity) è quello della gestione della checklist, e cioè delle procedure da compiere durante le attività al di fuori dei veicoli spaziali e in caso di malfunzionamenti della tuta.

La tuta degli astronauti non è confortevole e, in situazioni di bassa gravità, rende difficili i movimenti.

Per questo motivo è fondamentale utilizzare un dispositivo che non impegni mani e braccia e renda più fluida la verifica di ogni attività extraveicolare.
Eppure, ad oggi, uno strumento del genere non fa ancora parte dell’equipaggiamento degli astronauti.
Sembra incredibile, ma la checklist è ancor oggi “banalmente” riportata su un “libretto da polso” (cuff checklist), un quadernino di 25 pagine di carta tenute insieme da una spirale che le rende più facili da sfogliare coi grossi guanti della tuta.

La check list che John Watts Young indossò quando fece il suo famoso salto sulla Luna, durante la missione dell’Apollo 16, nel 1971

Lo sviluppo di uno strumento che fornisse informazioni all’astronauta in modo efficiente durante le sue attività nello spazio, per ESA e NASA è stato motivo di preoccupazione negli ultimi decenni.

Nel 2006 venne pubblicato uno studio commissionato da ESA per la realizzazione di uno strumento di visualizzazione diretta da display, per usi spaziali.
Lo studio venne effettuato proprio da LusoSpace, la società di Vieira.

Realtà Aumentata non solo per astronauti

La Realtà Aumentata sembrò un modo per risolvere il problema.

Nata negli anni ’70 per usi militari, la Realtà Aumentata allora non ebbe molto successo essenzialmente per una questione di dispositivi: le apparecchiature necessarie non erano “user friendly” e cioè non erano facilmente utilizzabili, non erano alla portata di un numero cospicuo di persone, ma soprattutto non erano “mobile”.

Il primo occhiale a Realtà Aumentata destinato agli astronauti venne realizzato dalla LusoSpace nel 2008.
Ma Vieira, dopo che al padre fu diagnosticata la SLA, realizzò subito che quell’occhiale sviluppato per gli astronauti, se dotato di un’interfaccia di eye tracking e di un sistema di sintesi vocale, sarebbe stato un’ottima soluzione per ridare voce a persone con capacità limitata di comunicazione.

EyeSpeak e Kickstarter: un vero successo

Nel 2013 la LusoVu iniziò a produrre EyeSpeak, e nel 2014 avviò una campagna di crowdfunding su Kickstarter, la piattaforma online di microcredito collettivo più nota al mondo, con la quale riuscì a raccogliere 128.181 $, superando il target dei 115.000 $ fissati inizialmente.

Grazie alla campagna, nel 2015 vennero prodotti i primi 45 prototipi.

Pronti all’uso per ogni tipo di occhio

EyeSpeak è in vendita dal 2016 ed è costruito su occhiali Epson BT-200 AR provvisti di microfono, altoparlanti e una piccolissima videocamera controllata da un microprocessore.

Il sistema è stand-alone e cioè permette all’utilizzatore di comunicare ovunque si trovi e senza bisogno dell’assistenza di un computer o un di tablet.
Si può navigare in rete, vedere video, inviare email, conservando sempre la propria privacy poiché nessuno attraverso le lenti riesce a vedere ciò che vede l’utilizzatore.
Le lenti trasparenti gli permettono, inoltre, di mantenere il contatto con l’ambiente circostante.

Plug and play e cioè pronti per essere subito indossati, gli occhiali EyeSpeak possono essere utilizzati da ogni occhio e in ogni condizione di luce.

Con due ore di pratica al giorno, ci vogliono circa due settimane per imparare ad usare il sistema per permettergli, cioè, di calibrare con precisione le posizioni della pupilla e adattarsi all’occhio dell’utilizzatore. Due settimane per restituire la libertà di comunicare a persone ormai incapaci di farlo da sole.

E la Realtà Aumentata per gli astronauti?

Dal 2006 a oggi molti studi sono stati effettuati sull’utilizzo di dispositivi mobili e Realtà Aumentata destinati a migliorare il comfort e la sicurezza delle “passeggiate spaziali”, ma ad oggi nulla ancora sembra aver sostituito il libretto da polso.

Nella foto si può notare il quadernino con la checklist fissato al polso sinistro dell’astronauta

Invece, come abbiamo visto, proprio alcuni di questi studi hanno preso altre direzioni, ispirando altri utilizzi in campi anche molto lontani dal settore aerospaziale.

EyeSpeak è uno straordinario esempio di contaminazione tra ricerca scientifica, applicazioni e mercato. Ed è proprio grazie a contaminazioni come queste, che avvengono i cosiddetti processi di trasferimento tecnologico, grazie al quale è possibile ottenere risultati a volte inattesi ma utili per noi e per la nostra società che, come tuttoi ben sappiamo, oggi vive, si alimenta, prospera e migliora proprio in virtù di queste disseminazioni, contaminazioni, condivisioni.

Com’è fatto EyeSpeak

EyeSpeack è sviluppato su smart glass Epson BT-200 AR ed è dotato di:

  • controller
  • luce LED a infrarossi
  • videocamera con sensore eye tracking
  • microprocessore
  • microfono e altoparlanti
  • una batteria

Specifiche tecniche di EyeSpeak

  • Sistema operativo: Android [4.0.4]
  • Risoluzione di EyeSpeak: 960×540 (quello degli occhiali EPSON BT-200)
  • Campo visivo: circa 23° (lo stesso degli EPSON BT-200)
  • Autonomia: circa 8h
  • Lunghezza d’onda degli infrarossi: 880 nm
  • Intensità massima dell’infrarosso: 0,16 mW/sr per LED (Secondo  il regolamento internazionale)
  • Risoluzione della videocamera: 320×240
Silvia Pittarello

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